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Che faccia da outsider!

Qui di seguito le 5000 battute che mi sono state chieste dal Messaggero Veneto sul futuro della mia città, Pordenone

Ho 45 anni, disegno professionalmente da quasi 30 e mi ritengo da sempre un outsider, penso da outsider, mi muovo da outsider. La mia vocazione non è mai stata quella del disegno ma quella della narrazione per immagini: appassionato di cinema fin da bambino, quando ho scoperto il fumetto ho subito capito che avrei potuto raccontare delle storie per immagini attraverso il disegno. Benché i miei genitori sognassero un futuro più sicuro (?) da ingegnere, dopo la maturità scientifica mi sono trasferito a Bologna per seguire il mio di sogno. Assetato di affermazione e voglia di dimostrare ai miei genitori che il mio sogno poteva diventare realtà, ho esplorato tutti i campi del disegno narrativo, non solo fumettistico: dalla pubblicità, allo story board, al video clip, all’animazione, alla regia, alla scenografia e costumi teatrali, ho realizzato copertine di dischi, copertine di supereroi, creato personaggi Disney, lavorato per grandi editori francesi e belgi, e infine ho realizzato un Tex.
In queste situazioni ho cercato il mio ruolo da outsider, ritenendo sempre fosse un valore aggiunto l’essere “alieno” e avere una visione diversa delle cose: facendo fumetto con una visione pubblicitaria; facendo fumetto francese con una visione latina; facendo Disney con una visione Marveliana; facendo Tex con una visione alla francese; facendo pubblicità con una visione fumettistica…
Cosicché, il mio approccio viene spesso guardato da principio con diffidenza per poi distinguersi dagli altri perché in qualche modo inaspettato. È forse anche per questo che benché io non sia certamente tra i migliori disegnatori sul mercato, sono invece tra i più apprezzati: penso da outsider e mi muovo da outsider.

Penso anche che il fumetto stesso sia un outsider tra le arti e penso che, per arrivare al nocciolo di questo articolo, che Pordenone sia una città outsider. Outsider è colui che pur non essendo tra i favoriti, per particolari caratteristiche uniche, abbia la capacità di vincere imprevedibilmente anche avversari nettamente superiori.
Perché? Perché è spesso sottovalutata dal fatto che sia piccola, che non abbia una storia autorevole, che non abbia una grande identità, che sia vista come un territorio più veneto che friulano, che non sia conosciuta, che non sia considerata da alcuni nemmeno una città, ma un “paesotto”; che abbia partorito nonostante tutto in diversi campi, imprenditoriale, sportivo, artistico, scientifico eccellenze di tutto rispetto, a dimostrazione di essere un terra di gente caparbia, determinata, innovativa, e sorprendente, abituata a faticare il doppio per raggiungere i propri obiettivi, abituati a dimostrare sul campo il proprio valore nonostante la diffidenza e le sottovalutazioni.
Vorrei che per il suo futuro, Pordenone cavalcasse la logica dell’outsider trasformando gli apparenti punti di debolezza in punti di forza: Pordenone è relativamente giovane e in quanto tale è scevra da calcificazioni storico-sociali, non ha grandi patrimoni che bloccano nuove iniziative e progetti, è piccola e quindi è possibile avere relazioni agili con le istituzioni, sancire sinergie e fare più facilmente sistema tra i vari suoi apparati; ha fame di affermazione, è determinata e pronta, agile e intraprendente. Può investire più facilmente su progetti innovativi; puntare maggiormente sulla vicinanza al Veneto, e sulla sua dimensione a misura d’uomo, sulla qualità, sull’ospitalità, sulla tranquillità, la sicurezza, sulla salubrità dell’ambiente e dei prodotti, attraverso l’innovazione, la cultura e l’educazione civica.
Non deve commettere l’errore di prefiggersi obiettivi sbagliati come diventare una grande città, puntare ai numeri, crescere. Facendo questo perderebbe i suoi punti di forza che la distinguono e la rendono unica. Non deve crescere ma migliorare e possibilmente raccontarsi, vendersi meglio, cercando di non cadere nel tranello del complesso di inferiorità che ti porta a voler competere e confrontarsi sullo stesso campo dei giganti, ma spostandosi di lato per giocare con le nuove regole.

È in quest’ottica che ho proposto all’inizio di quest’anno all’amministrazione comunale coadiuvato da un team di professionisti di vari settori (un amministratore delegato, un architetto museale, un esperto di marketing e un curatore) un progetto che incarna tutte queste caratteristiche che per la città può essere un motore importante: il Palazzo del Fumetto, un contenitore culturale che rifiuta già dal nome le convenzioni che lo vogliono catalogare per forza come museo per affrontare fuori dalle regole l’annoso problema della sostenibilità della cultura. Di musei è pieno il mondo, ne è pienissima l’Italia e Pordenone stessa ne dispone già in abbondanza con seri problemi di affluenza. Un contenitore in crisi come Villa Galvani attraverso la chiave di lettura del fumetto avrebbe modo di rilanciarsi, riqualificare l’area urbana, farla percepire in maniera nuova dai cittadini, aprirsi a fasce di pubblico nuove e distinguersi e distinguere Pordenone con una proposta culturale che non ha uguali in Italia e nemmeno, nella sua formula, in Europa.
Il fumetto, dunque, che non è solo chiave di lettura del contenitore culturale, sarebbe troppo prevedibile, ma come passe-par-tout per aprire tutte le serrature che una formula tradizionale non permetterebbe: passe-par-tout tra tutte le discipline artistiche, tra cultura e imprese, tra luogo istituzionale e spazio pubblico, tra svago e apprendimento, tra arte alta e arte pop, tra fasce di pubblico differenti, dalle più sofisticate ed esigenti alle più semplici, e sopratutto per grandi e bambini, un luogo in continuo divenire, agile e innovativo.
Un luogo insomma che potrebbe fornire a Pordenone l’esemplificazione concreta del suo ruolo di outsider, un collante tra le tante realtà della città culturali e imprenditoriali, e che può incastonarsi nella timeline della vita della città accompagnandone ogni momento

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